Olio di palma e psicologia del terrore

Mi dispiace, caro Olio di Palma, dopo la Farina “Troppo Raffinata” e la Carne Rossa questa volta è toccato a te. Nel giro di pochi mesi sei diventato portatore sano di morte e distruzione. Senza che cambiasse il modo in cui eri utilizzato o venivi prodotto, ti sei ritrovato esiliato dall’industria alimentare, senza nemmeno che ti pagassero la liquidazione.
So come ti senti.
Ti starai chiedendo: “Perché proprio io? Perché non l’Olio di Semi di Girasole o la Vanillina?”. Visto come vanno le cose, mi viene da risponderti di aspettare, perché prima o poi ci passano tutti…

°°°

Sì, perché è facile trasmettere un’informazione sbagliata alle persone che non hanno le conoscenze adatte per poterla valutare oggettivamente.
Perciò sto scrivendo questo articolo, in un blog che non è sicuramente famoso ma che comunque qualcuno ogni tanto legge, nella speranza di riuscire a contrastare, se pur di pochissimo, quell’enorme piaga della disinformazione online che si espande – è proprio il caso di dirlo – a macchia d’olio.

  1. Che cos’è l’olio di palma?
  2. Perché si trova in molti alimenti confezionati?
  3. Quali sono i suoi effetti sulla salute?
  4. Che tipo di impatto ambientale provocano le coltivazioni di palma da olio?

Queste le quattro domande più frequenti che ho riscontrato riguardo all’argomento e a cui cercherò di rispondere passo dopo passo.

Ma iniziamo dalle basi:

  • Che cos’è l’olio di palma?
Olio di palma in panetti
Olio di palma in panetti

L’olio di palma, così come tutti gli oli vegetali, è una miscela di grassi (lipidi, trigliceridi) importanti dal punto di vista nutrizionale purché non se ne ecceda con il consumo (come per ogni altro tipo di alimento).

Elaeis guineensis MS 3467
Elaeis guineensis

Lo si ottiene dalla spremitura della polpa del frutto della pianta Elaeis guineensis e non va confuso con l’olio di palmisto, di cui parlerò più avanti, che invece viene ricavato dai semi di questo frutto e che ha caratteristiche molto diverse dall’olio di palma.
Per i metodi di estrazione e purificazione rimando a questa pagina di Wikipedia molto esauriente.

Frutto della palma da olio, si può notare la polpa e il seme.
Frutto della palma da olio, si può notare la polpa e il seme.

I grassi contenuti in un olio (che possono essere anche di origine animale, come nel burro) sono costituiti da tre catene idrocarburiche più o meno lunghe unite tra loro da un ponte di glicerina tramite legami esterei.

La singola catena con il gruppo carbossilico terminale (-COOH) prende il nome di acido grasso. Gli acidi grassi si dividono in due categorie principali:

  • Saturi (a struttura lineare)
  • Insaturi (presentano dei doppi legami carbonio-carbonio)

I grassi insaturi, a loro volta, si suddividono in monoinsaturi o polinsaturi a seconda che presentino un solo doppio legame o più di uno.

Esempio di un trigliceride con una catena satura (in alto), una monoinsatura (al centro) ed una polinsatura (in basso)
Esempio di un trigliceride con una catena satura (in alto), una monoinsatura (al centro) ed una polinsatura (in basso)

Acidi grassi diversi hanno effetti diversi sulla salute.
Tenendo a mente questa affermazione, andiamo a vedere più nel dettaglio la composizione tipica dell’olio di palma.

Ricordiamoci che la diversa composizione dei vari oli vegetali è determinata dalla loro provenienza (frutto della palma, cocco, oliva, semi di girasole,ecc.) e solitamente viene espressa in grammi di acidi grassi presenti in 100g di prodotto.

Tipicamente un olio di palma contiene un 50% circa di acidi grassi saturi e un altro 50% circa di insaturi.
L’acido grasso saturo più abbondante nell’olio di palma è l’acido palmitico (16 atomi di carbonio) che è presente in percentuali che variano tra 32-45%; mentre l’acido grasso insaturo maggiormente presente è l’acido oleico (18 atomi di carbonio) al 38-52%.
Quest’ultimo è ben noto, in quanto componente principale (>80%) dell’olio di oliva. Fa parte dei monoinsaturi poiché presenta un solo doppio legame.

Altri acidi grassi che si possono trovare nell’olio di palma sono:

  • Acido stearico, saturo a 18 atomi di carbonio, 2-7%
  • Acido miristico, saturo a 14 atomi di carbonio, 0.5-2%
  • Acido linoleico, polinsaturo a 18 atomi di carbonio (2 doppi legami), 5-11%

 

  • Perché si trova in molti alimenti confezionati?

L’olio di palma è stato, ed è tutt’ora, uno dei pochi sostituti validi del burro ed altri grassi di origine animale contenenti colesterolo ed utilizzabile industrialmente a basso costo.
La sua ricca composizione in acido palmitico (saturo ed in quanto tale a punto di fusione più elevato) lo rende di consistenza simile a quella del burro (solido o semi-solido a temperatura ambiente), caratteristica necessaria nella preparazione di tutti i prodotti da forno, creme e molto altro.

La facilità di coltivazione della palma Elaeis guineensis ed il suo rapido ciclo di crescita e maturazione hanno fatto sì che l’olio così prodotto potesse essere venduto a basso costo.
Il prezzo è poi ulteriormente calato a seguito dell’enorme domanda dei prodotti sopracitati che ha fatto sì che l’utilizzo di quest’olio da parte delle industrie alimentari aumentasse a dismisura.

Prima dell’olio di palma venivano usati altri tipi di oli vegetali resi solidi a temperatura ambiente a seguito di un trattamento chimico chiamato idrogenazione, trattamento che viene effettuato ancora adesso su molti oli per preservarne la qualità ed evitarne l’irrancidimento (degradazione).
La maggior parte degli altri oli, infatti, presenta percentuali più elevate in acidi grassi insaturi (mono- o poli-) i quali tendono più facilmente a degradare per esposizione ad elevate temperature, all’aria, o alla luce per lunghi periodi di tempo.

L’idrogenazione consiste nella trasformazione dei doppi legami presenti negli acidi grassi in legami semplici per inserzione di idrogeno con l’aiuto di un catalizzatore a base di Nichel metallico. Si trasformano quindi i grassi insaturi in grassi saturi e si aumenta il punto di fusione degli oli, che diventano più stabili alle alte temperature e che in alcuni casi diventano solidi, a seconda del grado di idrogenazione (che può essere parziale o totale).

Schematizzazione del processo di idrogenazione totale di un acido grasso polinsaturo.
Schematizzazione del processo di idrogenazione totale di un acido grasso polinsaturo.

Questo processo porta alla formazione anche di altri prodotti, detti di isomerizzazione degli acidi grassi insaturi, che passano dalla configurazione naturale di tipo cis alla configurazione trans.

Differenza tra un acido con doppio legame in configurazione cis rispetto ad uno in configurazione trans.
Differenza tra un acido con doppio legame in configurazione cis rispetto ad uno in configurazione trans.

È proprio la formazione di questi prodotti detti acidi trans, che ha portato alla ricerca di un olio che contenesse naturalmente alte percentuali di acidi grassi saturi, senza dover ricorrere all’idrogenazione.

È stata infatti trovata una relazione che lega l’assunzione di acidi grassi trans all’insorgere di malattie coronariche ed aterosclerosi. Come riportato su Wikipedia: “Nel 2002 l’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti raccomandò la totale eliminazione dalla dieta degli acidi grassi trans.
Negli USA è infatti obbligatorio indicare sulle etichette la percentuale di acidi grassi trans presenti.

Altro problema derivato dall’idrogenazione è l’incorporazione in quantità minime (ma pur sempre presenti) di residui del catalizzatore a base di Nichel, che purtroppo è uno di quei metalli che provocano fenomeni di sensibilizzazione.
Per intenderci: ne assumete continuamente quantità bassissime e non succede niente, poi raggiunta una certa soglia può scattare la reazione allergica.

Anche alla luce di questo, si capisce il conseguente utilizzo sempre più importante dell’olio di palma.

  • Quali sono, quindi, gli effetti dell’olio di palma sulla salute?

Sotto questo aspetto ne ho lette e sentite dire di tutti i colori: l’olio di palma è cancerogeno, fa venire l’infarto, è tossico, contiene metalli pesanti, e così via. La sagra dei luoghi comuni in ambito di tossicità degli alimenti.

La risposta alla domanda è banale, ma deve far riflettere: l’olio di palma, così come ogni altra fonte di grassi, assunto responsabilmente (e non in dosi elevate) non provoca effetti negativi sulla salute. Non fa più male di quanto ne possa fare il burro.

Gli aspetti che devono essere considerati rientrano nella composizione chimica dell’olio vista in precedenza.
Non essendo però un nutrizionista, mi sono documentato ed ho capito che in linea di principio, in una dieta ottimale, bisognerebbe favorire l’assunzione di acidi grassi monoinsaturi a scapito dei polinsaturi e dei saturi, come mostrato in figura.

Fonte: http://my-personaltrainer.it/nutrizione/grassi-saturi-insaturi1.html

(Non approfondirò oltre gli aspetti nutrizionali poiché non rientrano nel mio ambito di conoscenza, ma chi fosse interessato può leggere questo articolo, a mio avviso molto valido.)

Facciamo quindi un confronto con altri tipi di oli comunemente consumati (per vedere la tabella ingrandita fare click su di essa, si aprirà una nuova scheda):

Le parti evidenziate indicano il componente maggioritario per ogni tipologia di olio (nel caso dell’olio di palma sono due).

Com’è possibile osservare da questo piccolo confronto, le differenze sono molteplici.
L’olio di palma, di cocco e di palmisto presentano una quantità maggiore di grassi saturi: questo però non vuol dire che abbiano le stesse proprietà. Si vede infatti che l’olio di cocco e di palmisto contengono come acidi grassi maggioritari l’acido laurico e l’acido miristico, quest’ultimo è ritenuto essere il maggior responsabile dell’aumento dei livelli di LDL (colesterolo cattivo) nel sangue dovuto all’assunzione di grassi saturi.
Anche l’acido palmitico sembra avere questo tipo di effetto, ma in forza minore.

Effetto di alcuni acidi grassi sui livelli di colesterolo nel sangue umano.
Effetto di alcuni acidi grassi sui livelli di colesterolo nel sangue umano: 12:0 – acido laurico; 14:0 – acido miristico; 16:0 – acido palmitico; trans-18:1 – acido trans-oleico; 18:0 – acido stearico; cis-18:1 – acido oleico; 18:2 – acido linoleico.

Come riportato nella rewiew da cui è stata presa l’immagine qui sopra, si può notare che tutti gli acidi grassi saturi (laurico, miristico e palmitico ad eccezione dello stearico) e l’acido di tipo trans vanno ad umentare il livello di LDL nel sangue. Tra questi, come già detto, l’acido miristico (14:0) è quello che provoca un effetto maggiore.

Da questa tabella si evince quindi che anche l’acido palmitico ha un effetto negativo in questo senso. Ciò è sicuramente vero, ma non possiamo estrapolare questo dato senza avere una visione d’insieme del problema.
Infatti, a parità di quantità di grassi assunti, un olio di palmisto o un olio di cocco hanno un contenuto in grassi saturi (mirisitco e laurico in maggioranza) nettamente superiore ad un olio di palma, che in pratica ne contiene la metà, il resto è acido oleico (cis-18:1), che invece ha un effetto positivo sui livelli di colesterolo.

Certo è che per assumere gli acidi grassi monoinsaturi, come ci viene consigliato, il migliore olio in assoluto è quello di oliva, con percentuali anche di oltre l’80% di acido oleico, acido che ritroviamo in quantità non indifferenti, oltre che nell’olio di palma, anche nell’olio di soia e in quello di semi di girasole.
In questi ultimi due notiamo la notevole presenza di un altro acido insaturo, l’acido linoleico, che presenta 2 insaturazioni.

Per questi motivi gli oli di semi di girasole e di soia sono sconsigliati, ad esempio, per la frittura, in quanto avendo una maggiore percentuale di acidi grassi insaturi, tendono a decomporre più facilmente alle alte temperature, in tempi più brevi di altri oli.

“Ma quindi l’olio di palma fa male?”
L’olio di palma fa male se non viene assunto in maniera responsabile. Così come ogni altro tipo di olio. L’allarmismo mediatico che ne viene fatto è una cosa che personalmente non concepisco. Molto probabilmente tutti i prodotti, che adesso sponsorizzano il fatto di essere privi di olio di palma, non lo contenevano nemmeno prima che si sollevasse questo polverone. Ma adesso, cavalcano volentieri l’onda del marketing, puntando a far credere al consumatore di vendere prodotti più sani.
In parole povere, è solo uno dei tanti escamotages per sfruttare la questione a scapito del consumatore, che alla fine ci rimette economicamente.

Personalmente dunque non mi preoccupo granché se sulla confezione di ciò che compro trovo scritto “olio di palma”. Mi preoccupo di più se trovo “olio di palmisto” o peggio ancora se trovo “grassi idrogenati”.
In generale comunque limitare l’assunzione di sostanze grasse non può che essere benefico per la salute.

Infine, per mettere in chiaro che questo non è quello che credo io ma si parla di cose oggettive, riporto ciò che è stato pubblicato sul sito del ministero della salute il 25 Febbraio 2016 sulla base di un lavoro dell’Istituto Superiore di Sanità:

“L’Istituto Superiore di Sanità conclude che non ci sono evidenze dirette nella letteratura scientifica che l’olio di palma, come fonte di acidi grassi saturi, abbia un effetto diverso sul rischio cardiovascolare rispetto agli altri grassi con simile composizione percentuale di grassi saturi e mono/poliinsaturi, quali, ad esempio, il burro.”

 

  • L’olio di palma e l’ambiente

Per completare questa rassegna devo spendere due parole anche sull’altro aspetto su cui è stato puntato il dito contro l’olio di palma: la deforestazione incontrollata in Malesia ed Indonesia (leader mondiali nella produzione di questo olio) per far spazio alle coltivazioni dedicate.

Coltivazione di palma da olio
Coltivazione di palma da olio

Ancora una volta mi trovo a dire che è stato fatto un ingigantimento inutile di ciò che è la realtà attuale. Mi spiego meglio: in passato è vero che si è assistito ad un fenomeno di deforestazione (anche tramite incendi dolosi) non controllata che portava ad un abbattimento dell’habitat di molte specie animali presenti, nonché alla riduzione della superficie verde (ma questo non solo a causa della coltivazione della palma da olio). Adesso però questa deforestazione è strettamente controllata e l’Indonesia ha stretto accordi internazionali per il mantenimento della superficie verde oltre il 50%.

L’Indonesia è un paese economicamente emergente ed in forte espansione grazie anche a queste coltivazioni. Ovviamente questo non vuol dire che le multinazionali non ci guadagnino a comprare la terra in questi paesi a prezzi stracciati, ma ciò non ha certamente niente a che fare con il tipo di coltivazione. Potrebbe essere coltivato anche grano o soia e la situazione sarebbe la medesima.
Tuttavia, il land grabbing, così viene chiamato, è un fenomeno in fase di sviluppo ed in costante crescita, che non posso approfondire ulteriormente data la mia mancanza di basi in materia.

Rimane il fatto che il problema della deforestazione, che porta con sé gravi conseguenze sulla biodiversità, esiste; su questo non ci sono dubbi. Ma è davvero solo colpa delle coltivazioni per la produzione di olio di palma?
Poniamoci i giusti quesiti: se davvero la produzione di olio di palma non è ambientalmente sostenibile, quale altro tipo di produzione di olio vegetale lo è?
E poi, giusto per rimanere in Italia senza dover andare in zone tropicali, pensate che le piante di olivo presenti sul nostro territorio, per produrre più di 3 milioni di tonnellate all’anno di olio di oliva, siano nate spontaneamente? Vi ricordo che siamo il secondo produttore mondiale di questo olio, preceduti solo dalla Spagna.

Pertanto, in definitiva, direi che demonizzare l’olio di palma non ha senso nemmeno sotto questo punto di vista.

  • Quali conclusioni?

In conclusione, semplicemente non abbiate timore dell’olio di palma, magari se avete problemi di colesterolo alto state attenti a non assumerne troppo. Ma questa è una considerazione generale, che non vale certo solo per questo olio ingiustamente incriminato.

Mi preme specificare inoltre che questo articolo non è certamente esaustivo e non ha la pretesa di esserlo. Ho solo cercato di riassumere gli aspetti generali della questione, rispondendo in termini un po’ più scientifici ed oggettivi alle domande più comuni a riguardo, per aiutare anche chi non mastica sempre questi argomenti ad avere – spero – le idee più chiare e riuscire  così a distinguere chi parla soltanto “per dare aria alla bocca” da coloro che lo fanno con cognizione di causa.

Per finire vorrei che fosse chiaro il messaggio che voglio far passare: l’informazione puntale e ponderata è tutto. Ci si deve documentare, non si deve sentire una sola campana. Si fanno ricerche e ci si fa un’idea più oggettiva della realtà dei fatti.

Non ci si può far prendere per i fondelli dalle attuali pubblicità di ogni casa produttrice di merendine e biscotti che hanno inserito la dicitura: “DA OGGI SENZA OLIO DI PALMA”.

È come prenderci in giro da soli. L’olio di palma è solo l’ennesimo spauracchio su cui speculare. Passata questa fase mediatica in cui chiunque (che sappia o meno qualcosa in merito) deve dire la sua, probabilmente nessuno si ricorderà più del perché l’olio di palma era nell’occhio del ciclone. E andremo avanti così finché non sarà la volta di qualche altro prodotto che prenderà il posto dell’olio di palma e contro cui dovremo puntare il dito per cose le cui cause, magari, dovrebbero essere cercate altrove.


Bibliografia:

  • Wikipedia – Olio di Palma, https://it.wikipedia.org/wiki/Olio_di_palma
  • Y. B. Che ManT. Haryati, H. M. Ghazali, B. A. Asbi, Composition and thermal profile of crude palm oil and its products, JAOCS, Vol. 76, no. 2 (1999)
  • Wikipedia – Acidi grassi trans, https://it.wikipedia.org/wiki/Acidi_grassi_trans
  • http://my-personaltrainer.it/nutrizione/grassi-saturi-insaturi1.html
  • http://www.chempro.in/fattyacid.htm
  • Katan MB, Zock PL, Mensink RP, Effects of fats and fatty acids on blood lipids in humans: an overview, Am J Clin Nutr. 1994 Dec;60(6 Suppl):1017S-1022S
  • Wikipedia – Olea Europaea, https://it.wikipedia.org/wiki/Olea_europaea

Reazione degli scaldamani: il “ghiaccio caldo”

scaldamani coloratiOrmai in quasi ogni supermercato, specialmente nel periodo invernale e nei reparti “tutto a 1€”, si trovano degli oggetti di varie forme e dimensioni simili a bustine con del liquido all’interno, chiamati scaldamani.
Affinché questi oggetti espletino la propria funzione occorre schiacciare un disco metallico presente al loro interno e subito si dà il via ad un meccanismo a catena che porta al solidificarsi della soluzione liquida contenuta e contemporaneamente a sprigionare calore (ecco spiegato il motivo del nome).
L’utilità di questi scaldamani risiede nel fatto che possono essere riutilizzati all’infinito semplicemente immergendoli in acqua bollente dopo l’utilizzo: così facendo il composto all’interno tornerà ad essere liquido.

Ma qual è il meccanismo chimico che sta dietro alla formazione del cosiddetto “ghiaccio caldo” o “hot ice”?

Per prima cosa va precisato che il termine “ghiaccio” è utilizzato impropriamente, anche se ormai di uso comune, poiché si tratta di soluzioni acquose di acetato di sodio, che niente hanno a che vedere con il ghiaccio propriamente detto, ovvero l’acqua allo stato solido.
Questo composto, dal nome apparentemente complesso, fa parte della nostra vita quotidiana in quanto trova utilizzo come conservante all’interno dei cibi: in questo caso prende il nome di diacetato di sodio e viene indicato con la sigla E262.

Dal punto di vista chimico è il sale sodico dell’acido acetico (acido debole) ed in quanto tale, in acqua, è soggetto a idrolisi basica, ovvero le soluzioni di acetato di sodio presentano una leggera basicità. A temperatura ambiente è un solido cristallino dal colore bianco.
L’acetato di sodio (CH3COONa) può essere prodotto per reazione tra acido acetico e bicarbonato di sodio di seguito schematizzata:

CH3COOH + NaHCO3 –> CH3COONa + H2O + CO2

Questa è la tipica reazione tra l’aceto e il bicarbonato di sodio che chiunque abbia giocato al piccolo chimico avrà sicuramente ripetuto in casa, rimanendo sorpreso dalla quantità di schiuma che si formava. Adesso possiamo capirne il motivo: durante la reazione tra i due composti si ha una vigorosa formazione di anidride carbonica (CO2) che, essendo gassosa, risale dalla soluzione provocando l’effervescenza caratteristica.
Quello che però non sapevamo, o almeno di sicuro non sapevo io quando ci giocavo, è che alla fine dell’effervescenza avevamo ottenuto una soluzione di acetato di sodio, il protagonista degli scaldamani.scaldamani gufo
Il liquido che si trova al loro interno, però, è sì una soluzione di acetato di sodio in acqua, ma particolare: viene definita infatti soluzione supersatura o sovrasatura, vale a dire una soluzione in cui è presente più soluto di quello che in realtà la quantità di acqua presente sarebbe in grado di sciogliere. Questo tipo di soluzioni sono particolarmente instabili ed il soluto in eccesso tende a precipitare o, nel caso dell’acetato di sodio, a dare origine ad un processo di cristallizzazione dell’intero contenuto.
Questo processo è esotermico, in altre parole libera energia sotto forma di calore: infatti schiacciando il disco metallico all’interno dello scaldamani si origina ciò che viene definito centro di nucleazione, che permette la cristallizzazione a cascata dell’intera soluzione, con liberazione di energia.
La particolarità di questo tipo di cristalli così formati (per i più esperti vale la pena dire che sono cristalli triidrati e contengono al loro interno le molecole di acqua facenti da solvente) è che intorno ai 100°C si possono sciogliere nuovamente a dare origine alla soluzione sovrasatura di acetato di sodio in acqua, che potrà così essere utilizzata di nuovo quale coadiuvante nel superare i rigidi inverni. 😉

scaldamani

Di seguito posto un video che ho fatto ormai già da un po’ di tempo (e che potete trovare anche sulla pagina Facebook di Chimichiamo Blog), che riguarda appunto la cristallizzazione di una soluzione supersatura di acetato di sodio che avevo sintetizzato a partire da acido acetico puro e bicarbonato di sodio. In questo caso il processo di cristallizzazione viene avviato dall’aggiunta di un piccolo cristallo preformato di acetato di sodio che funge da germe cristallino.


Adesso quando utilizzerete uno scaldamani saprete qual è il processo chimico che sta dietro a questa sorta di magia… a portata di mano!

 

Acidi e basi: cos’è il pH?

acidi e basi

Spesso, nella vita di tutti i giorni, sentiamo parlare di acidi e basi o misure di pH.
Ma cosa si intende con queste espressioni?
Sicuramente la maggior parte delle persone sanno dare degli esempi di sostanze acide; un po’ meno invece, sono quelle che sanno fornire nomi di sostanze basiche. Questo perché, in effetti, nella vita quotidiana ci troviamo molto più spesso di fronte a sostanze dalle caratteristiche acide: succo di limone, aceto, acido muriatico… Con le sostanze basiche abbiamo a che fare allo stesso modo ma in ambiti diversi poiché, in linea di massima, nessuna sostanza basica è commestibile. Trovano il loro impiego principale come prodotti per la pulizia come ad esempio l’ammoniaca e la soda caustica.

Sono molte le definizioni che si possono trovare di acidi e basi, la più semplice, che riguarda solo una piccola parte delle sostanze che però sono quelle che a noi interessano di più, afferma che:
-le sostanze acide sono quelle sostanze che in acqua fanno aumentare la concentrazione degli ioni H+;
-le sostanze basiche sono quelle sostanze che in acqua fanno aumentare la concentrazione degli ioni OH

Questa in realtà non è una definizione accurata ma ci aiuta a capire meglio e in maniera semplice cosa sono e a cosa servono le misure del pH.

Il pH è una grandezza che misura il livello di concentrazione degli ioni H+ in soluzione acquosa. Matematicamente parlando il pH è esprimibile come l’opposto del logaritmo della concentrazione degli ioni H+ (indicata con [H+] ) :

pH = -log[H+]

Le sostanze acide in acqua fanno aumentare il valore [H+], di conseguenza il valore di pH diminuirà.
Le sostanze basiche fanno aumentare il valore di [OH], che significa diminuire il valore di [H+], poiché esiste una precisa correlazione tra la concentrazione dei due ioni in acqua (se uno aumenta, l’altro diminuisce e viceversa). Ciò significa che fanno aumentare il valore di pH.

Il pH rientra in una scala di valori che vanno da 0 a 14.
Si definisce acida una soluzione il cui valore di pH risulta essere minore di 7; al contrario una soluzione basica avrà un pH>7.
Una soluzione il cui pH risulta essere uguale a 7 viene detta neutra (acqua demineralizzata a 25°C).

corrosivo

Conoscere il pH di una soluzione è estremamente importante, anche solo ad esempio per avere un’idea sulla pericolosità di ciò con cui stiamo lavorando: pH molto elevati (tipici di basi forti concentrate) o molto bassi (tipici di acidi forti concentrati) conferiscono alla soluzione caratteristiche corrosive!

Esistono molti metodi di misura del pH: alcuni molto precisi e che utilizzano strumenti che forniscono il valore esatto (pH-metri), altri più “alla mano”, che sfruttano i cosiddetti indicatori, ma che sono comunque di largo utilizzo poiché quello che risulta essere importante nella vita di tutti i giorni non è tanto il valore preciso del pH, quanto piuttosto sapere più semplicemente che definizione dare a una soluzione: acida, basica o neutra.

Sarà proprio di questi metodi più “alla mano” che parleremo nei prossimi articoli e su cui potremo fare le nostre esperienze su acidi e basi che conosciamo molto bene.

 

La cristallizzazione

Un argomento molto spesso ricercato e di grande interesse è quello della cristallizzazione.

cristalli solfato di alluminio e potassio
Cristalli di solfato di alluminio e potassio. (Allume)

Creare cristalli o vederli crescere in un proprio recipiente è una cosa assai gratificante ma che spesso comporta notevoli delusioni!
Un mio professore dice sempre: “I cristalli sono dotati di capacità empatiche tutte particolari e assolutamente prive di qualsiasi logica umana: se non ti prendono in simpatia sei condannato ad una vita di precipitati pulverulenti o addirittura olii.”
Questo per evidenziare quanto sia complesso riuscire ad ottenere i risultati sperati quando si parla di processi di cristallizzazione.

Una delle doti che sicuramente deve avere chi si appresta a fare una simile esperienza è senza alcun dubbio la pazienza.
Io stesso non ho avuto grandi fortune quando si trattava di cristallizzazione, ma non mi sono mai arreso.
Ma come possiamo fare una cristallizzazione “fai-da-te” in casa nostra?
Intanto occorre precisare che non possiamo aspettarci di poter creare cristalli di tutti i tipi.
Dobbiamo accontentarci di ciò che utilizziamo quotidianamente!
Seguiranno adesso dei post in cui spiegherò, passo dopo passo, come fare in casa nostra dei cristalli con i composti più comuni, come ad esempio, il sale da cucina.