Reazione degli scaldamani: il “ghiaccio caldo”

scaldamani coloratiOrmai in quasi ogni supermercato, specialmente nel periodo invernale e nei reparti “tutto a 1€”, si trovano degli oggetti di varie forme e dimensioni simili a bustine con del liquido all’interno, chiamati scaldamani.
Affinché questi oggetti espletino la propria funzione occorre schiacciare un disco metallico presente al loro interno e subito si dà il via ad un meccanismo a catena che porta al solidificarsi della soluzione liquida contenuta e contemporaneamente a sprigionare calore (ecco spiegato il motivo del nome).
L’utilità di questi scaldamani risiede nel fatto che possono essere riutilizzati all’infinito semplicemente immergendoli in acqua bollente dopo l’utilizzo: così facendo il composto all’interno tornerà ad essere liquido.

Ma qual è il meccanismo chimico che sta dietro alla formazione del cosiddetto “ghiaccio caldo” o “hot ice”?

Per prima cosa va precisato che il termine “ghiaccio” è utilizzato impropriamente, anche se ormai di uso comune, poiché si tratta di soluzioni acquose di acetato di sodio, che niente hanno a che vedere con il ghiaccio propriamente detto, ovvero l’acqua allo stato solido.
Questo composto, dal nome apparentemente complesso, fa parte della nostra vita quotidiana in quanto trova utilizzo come conservante all’interno dei cibi: in questo caso prende il nome di diacetato di sodio e viene indicato con la sigla E262.

Dal punto di vista chimico è il sale sodico dell’acido acetico (acido debole) ed in quanto tale, in acqua, è soggetto a idrolisi basica, ovvero le soluzioni di acetato di sodio presentano una leggera basicità. A temperatura ambiente è un solido cristallino dal colore bianco.
L’acetato di sodio (CH3COONa) può essere prodotto per reazione tra acido acetico e bicarbonato di sodio di seguito schematizzata:

CH3COOH + NaHCO3 –> CH3COONa + H2O + CO2

Questa è la tipica reazione tra l’aceto e il bicarbonato di sodio che chiunque abbia giocato al piccolo chimico avrà sicuramente ripetuto in casa, rimanendo sorpreso dalla quantità di schiuma che si formava. Adesso possiamo capirne il motivo: durante la reazione tra i due composti si ha una vigorosa formazione di anidride carbonica (CO2) che, essendo gassosa, risale dalla soluzione provocando l’effervescenza caratteristica.
Quello che però non sapevamo, o almeno di sicuro non sapevo io quando ci giocavo, è che alla fine dell’effervescenza avevamo ottenuto una soluzione di acetato di sodio, il protagonista degli scaldamani.scaldamani gufo
Il liquido che si trova al loro interno, però, è sì una soluzione di acetato di sodio in acqua, ma particolare: viene definita infatti soluzione supersatura o sovrasatura, vale a dire una soluzione in cui è presente più soluto di quello che in realtà la quantità di acqua presente sarebbe in grado di sciogliere. Questo tipo di soluzioni sono particolarmente instabili ed il soluto in eccesso tende a precipitare o, nel caso dell’acetato di sodio, a dare origine ad un processo di cristallizzazione dell’intero contenuto.
Questo processo è esotermico, in altre parole libera energia sotto forma di calore: infatti schiacciando il disco metallico all’interno dello scaldamani si origina ciò che viene definito centro di nucleazione, che permette la cristallizzazione a cascata dell’intera soluzione, con liberazione di energia.
La particolarità di questo tipo di cristalli così formati (per i più esperti vale la pena dire che sono cristalli triidrati e contengono al loro interno le molecole di acqua facenti da solvente) è che intorno ai 100°C si possono sciogliere nuovamente a dare origine alla soluzione sovrasatura di acetato di sodio in acqua, che potrà così essere utilizzata di nuovo quale coadiuvante nel superare i rigidi inverni. 😉

scaldamani

Di seguito posto un video che ho fatto ormai già da un po’ di tempo (e che potete trovare anche sulla pagina Facebook di Chimichiamo Blog), che riguarda appunto la cristallizzazione di una soluzione supersatura di acetato di sodio che avevo sintetizzato a partire da acido acetico puro e bicarbonato di sodio. In questo caso il processo di cristallizzazione viene avviato dall’aggiunta di un piccolo cristallo preformato di acetato di sodio che funge da germe cristallino.


Adesso quando utilizzerete uno scaldamani saprete qual è il processo chimico che sta dietro a questa sorta di magia… a portata di mano!

 

Esperimento: test fai da te sul pH (parte 2)

Nel precedente articolo avevo accennato ai test sul pH fatti utilizzando indicatori naturali ricavati dai fiori. Oggi vediamo come effettuare questo secondo test fai da te sul pH!

I pigmenti contenuti nei fiori di molte piante sono dei composti che cambiano il colore a seconda dell’ambiente in cui si trovano, ovvero sono degli indicatori naturali di acidità. Un esempio piuttosto comune è quello dei fiori dell’ortensia che possono essere rossi o blu a seconda del tipo di terreno su cui crescono! Addirittura una stessa pianta può far sbocciare fiori rossi e blu contemporaneamente se cresce su un terreno che presenta zone con acidità diversa.
Di indicatori naturali, come già detto varie volte, ne esistono moltissimi, io mi limiterò a farvi vedere quello che ho fatto con due dei fiori più comuni: la rosa rossa, e il geranio rosso. Voi potete sbizzarrirvi con tanti altri tipi di fiori o piante che vi elencherò alla fine dell’articolo.

Materiale occorrente:

  • un petalo di rosa rossa (oppure alcuni petali di geranio rosso);
  • un bicchiere di vetro;
  • un pentolino;
  • acqua, 100mL (al solito sarebbe sempre meglio se è demineralizzata);
  • alcuni bicchierini trasparenti.

pH rosa pH geranio

 

< Rosa

 

Geranio >

 

 

La prima cosa da fare è estrarre il pigmento indicatore dal petalo che abbiamo.
Per fare questo esistono vari metodi: si può usare acqua calda che porti in soluzione il pigmento (grazie anche ad una buona azione meccanica di pressatura e frantumazione del petalo) oppure si può estrarre con alcool etilico, che solubilizza efficacemente il pigmento. Personalmente ho svolto l’esperienza con acqua perché ero a corto di alcool e anche perché l’acool etilico denaturato ha già al suo interno quel tipico colorante rosa che ci infastidisce un po’ per lo scopo del nostro test sul pH (andiamo infatti a vedere delle variazioni di colore, quindi è meglio se il solvente è trasparente).

Prendete il petalo e fatelo a pezzetti piccoli all’interno del bicchiere, nel frattempo mettete l’acqua a scaldare all’interno del pentolino (non importa che raggiunga l’ebollizione).
petali acquageranio acquarosa

 

 

 

 

 

Mettete poi l’acqua calda all’interno del bicchiere con i pezzetti di petalo e, con l’aiuto di un cucchiaino, iniziate a schiacciare bene tutti i pezzi; continuate a girare bene il tutto finché non vi accorgerete che l’acqua nel bicchiere avrà assunto una colorazione bluastra o violacea, a seconda che si tratti rispettivamente del petalo della rosa o del geranio.

A questo punto potete trasferire il liquido colorato ottenuto all’interno dei vari bicchierini a piccole dosi (il numero dei bicchierini dipende da quante prove volete fare).
Nella mia esperienza ho utilizzato ogni volta 10mL di liquido (prelevati con una siringa).
Abbiamo così ottenuto il nostro indicatore di acidità!
Nel resto dell’esperienza potete dare sfogo alla fantasia: potete fare prove con tutto ciò che vi viene in mente, dovete soltanto inserire poche gocce della soluzione di cui volete conoscere il pH all’interno del bicchierino!

Personalmente ho fatto 3 prove diverse con:
– aceto;
– bicarbonato di sodio;
– candeggina.

Per l’aceto e la candeggina ho aggiunto direttamente al bicchierino poche gocce dei due liquidi in due diversi bicchierini; per il bicarbonato, invece, basta che ne mettiate alcuni granelli all’interno del bicchierino con il liquido indicatore e mescoliate bene il tutto.

Ecco i risultati ottenuti:

1. Liquido indicatore ottenuto dal petalo di rosa rossa

pH rosa

2. Liquido indicatore ottenuto dai petali di geranio rosso

ph geranio
Dai risultati ottenuti possiamo vedere come i due indicatori passino da un colore rosso in presenza di sostanze acide (aceto) ad un colore giallo in presenza di sostanze basiche (candeggina), passando attraverso un blu più acceso in presenza di sostanze basiche più deboli (bicarbonato).
Come conclusione possiamo affermare che abbiamo ottenuto due ottimi indicatori di pH da dei comuni fiori da giardino.
Adesso potete conoscere l’acidità o la basicità di una sostanza anche a casa vostra grazie a questo semplice esperimento!
Come dicevo poco sopra, potete utilizzare anche altre piante oltre alla rosa rossa o il geranio rosso: potete provare a vedere cosa succede con la rosa bianca, con le foglie di cavolo rosso, oppure con le bacche di vite americana, oppure ancora con le bacche di biancospino… Provate ad estrarre gli indicatori da questi elementi che vi ho citato seguendo il meccanismo sopra descritto o meglio facendo bollire le bacche o le foglie di cavolo rosso e fatemi vedere i vostri risultati!
Potete anche inserire le vostre foto nella pagina dedicata, cliccando qui!

Buon lavoro!

Esperimento: creare il sale da cucina!

Del sale da cucina abbiamo già abbondantemente parlato nel precedente post, anche se adesso quello che vogliamo fare è creare cristalli di cloruro di sodio partendo da ciò che li costituiscono (cioè ioni cloruro e ioni sodio). Vediamo quindi come creare il sale da cucina!

Il cloruro di sodio, o NaCl, può essere prodotto a partire da acido cloridrico (HCl) e bicarbonato di sodio (NaHCO3). La reazione può essere infatti così schematizzata:

HCl(aq) + NaHCO3(s) –> NaCl(aq) + CO2(g) + H2O(l)

Dove i pedici aq, s, e l  stanno rispettivamente per: soluzione acquosa, solido, gas e liquido.
La reazione consiste in una neutralizzazione acido-base tra acido cloridrico e bicarbonato di sodio.
Ma dove si possono reperire questi due reagenti?
Il bicarbonato di sodio si trova quasi ovunque ad una elevata purezza e ad un costo più che accessibile. Si usa infatti per la disinfezione di frutta e verdura, per l’igiene personale, per combattere bruciori di stomaco, ecc…

Bicarbonato di sodio

Anche l’acido cloridrico non è un gran problema, esso trova il suo utilizzo più comune come prodotto per la pulizia di incrostazioni calcaree e va sotto il nome, più conosciuto, di
acido muriatico
. In questo caso l’acido cloridrico si presenta come una soluzione acquosa diluita al 10-12% circa. La forte aggressività corrosiva di questa sostanza la rende estremamente pericolosa e va quindi trattata con le dovute precauzioni! Consiglio di indossare dei guanti e degli occhiali protettivi.acido muriatico

Ecco ciò che serve per condurre il nostro esperimento:
– Un paio di guanti;
– Occhiali protettivi;
– Un bicchiere di vetro;
– Una siringa graduata (senza ago!);
– Una caraffa graduata;
– Un cucchiaino di plastica;
– Acqua, 100mL (al solito sarebbe meglio demineralizzata ma va bene anche quella di rubinetto per i nostri esperimenti);
– Acido muriatico, 35mL;
– Bicarbonato di sodio, 11g.

Le quantità che ho indicato non sono eccessive e l’esperimento può essere condotto all’interno di un bicchiere. Se volete fare le cose in grande non ci sono problemi, purché rispettiate i rapporti che ho scritto.

Prendete il bicchiere di vetro e versate al suo interno 100mL di acqua misurati con la caraffa graduata. Pesate poi 11g di bicarbonato di sodio (se anche sono 10 o 12g non importa, basta non esagerare) e aggiungeteli all’acqua mescolando con il cucchiaino di plastica. Il bicarbonato di sodio non è un composto estremamente solubile ed è probabile che la quantità pesata non si sciolga del tutto nell’acqua che abbiamo a disposizione, ma non è un problema e capirete subito il perché.
->N.B. Le operazioni che seguono sono da effettuarsi con i guanti e gli occhiali!!<-
Dopo aver controllato di aver adottato le giuste precauzioni, prendete l’acido muriatico e prelevatene, un po’ per volta, esattamente 35mL con la siringa graduata (che deve essere senza ago!). Se l’operazione risultasse difficile, potete versare un po’ di acido all’interno di un altro recipiente di vetro e prelevare successivamente da quest’ultimo con la siringa. Fate ben attenzione a non respirare troppo vicino alla soluzione di acido poiché, anche se a queste basse concentrazioni non è così evidente, i suoi vapori sono irritanti.
Man mano che con la siringa prelevate la giusta quantità di acido, inseritelo poco a poco nel bicchiere, a questo punto dovreste notare che la soluzione inizia a produrre una grossa effervescenza: prima di aggiungere altro acido aspettate che sia terminata l’effervescenza. Queste bollicine che si formano non sono nient’altro che uno dei prodotti della nostra reazione, ovvero l’anidride carbonica (CO2), che essendo gassosa se ne va dal nostro mezzo di reazione.
Facendo queste aggiunte riusciamo a sciogliere anche l’eventuale bicarbonato di sodio che non si era disciolto inizialmente.
Una volta terminata l’aggiunta dell’acido in pratica la reazione è già completa.
Abbiamo creato un bicchiere d’acqua salata.
Il mio consiglio è quello di non provare assolutamente ad assaggiarla poiché se non avete misurato bene potrebbe esserci dell’acido non reagito!

Ma come dobbiamo procedere adesso per creare i cristalli di sale?
La quantità di sale formato non dovrebbe essere molta (non più di 7g circa) e quello che dobbiamo cercare di fare è riuscire a cristallizzarlo facendo evaporare il solvente, cioè l’acqua.
Quest’operazione può essere fatta in vari modi, personalmente, avendo condotto l’esperimento in piena estate, ho lasciato il bicchiere sul davanzale interno della finestra per alcuni giorni. Potete anche provare a metterlo su un termosifone.
Quando la quantità di acqua non sarà più sufficiente a mantenere il sale in soluzione, questo precipiterà formando i primi germi cristallini che mano a mano cresceranno.

Come già detto, non sono esperienze semplici o dal risultato immediato, vi consiglio quindi di armarvi di tanta pazienza!
Buona fortuna!

P.S. Putroppo non ho ancora avuto modo di fotografare passo per passo l’esperienza ma lo farò il prima possibile! Se avete dei dubbi non esitate a contattarmi.