Caffeina = Teina: un’identità poco nota

Teina o caffeina? qualche curiosità su una molecola che ha tanti nomi.

Quando sono arrivato all’università ero fermamente convinto che caffeina e teina fossero due cose completamente diverse. Pensavo che fossero due molecole fondamentali nella composizione di caffè e tè rispettivamente.

È vero, al primo anno non sapevo granché di chimica, ma anche quando ho iniziato a masticare qualcosa in più, nella mia ment
e, teina e caffeina erano diventate due molecole distinte, accomunate magari nella struttura da qualche gruppo funzionale identico.

Mi imbarazza ammettere che la realtà dei fatti sono riuscito a scoprirla solo durante un laboratorio didattico: teina e caffeina sono semplicemente sinonimi che indicano la stessa molecola.
Vengono entrambi utilizzati per identificare quella che, scientificamente parlando, viene chiamata 1,3,7-trimetilxantina o 7-metilteobromina.
Questa sostanza, un alcaloide, non è contenuta soltanto nelle piante di tè e caffè, ma anche in cacao, cola, guaranà… (al solito, Wikipedia fornisce un’ottima descrizione).

Struttura della caffeina
1,3,7-trimetilxantina, detta anche caffeina o teina.

In natura questa molecola svolge il ruolo di insetticida, al fine di evitare che le piante vengano attaccate da artropodi vari: sui ragni, ad esempio, ha effetto disorientante ed impedisce loro di poter tessere delle ragnatele che abbiano una solida struttura.

Per l’uomo risulta essere una sostanza psicoattiva, dall’effetto stimolante.
In realtà, tutte le sostanze che fanno parte degli alcaloidi, come ad esempio la morfina, hanno un qualche tipo di effetto farmacologico. Addirittura, l’assunzione di caffeina con frequenza e dosi elevate può risultare in una dipendenza da essa, nota come caffeinismo.

Un aspetto a mio avviso interessante riguardo la caffeina (o teina, che dir si voglia) è rappresentato dal suo percorso metabolico nel nostro corpo. Essa infatti viene in parte trasformata dal fegato in un’altra molecola: la teobromina, nota a molti come la molecola del cioccolato.
La teobromina è infatti un altro alcaloide contenuto in abbondanza nelle piante di cacao, molto simile alla caffeina come struttura.

Struttura della teobromina
3,7-dimetilxantina o teobromina

Sul corpo umano agisce da vasodilatatore, oltre che da calmante della tosse, ed amplifica l’effetto stimolante della caffeina.

In un certo senso possiamo affermare che tè, cioccolato e caffè hanno effetti simili sul nostro corpo, dovuti alla presenza di queste sostanze psicoattive. Vale la pena però sottolineare che la concentrazione di queste varia molto a seconda della provenienza ed è abbastanza palese che il caffè rappresenta la fonte più concentrata.

Il limite di tolleranza della caffeina per l’uomo può variare da soggetto a soggetto, ma si può approssimare la dose letale per una persona di 70 Kg a circa 10 g di sostanza, equivalenti all’assunzione di 130 tazzine di caffè espresso o 170 tazze di tè (valore che può variare a seconda del tipo di tè), bevute una di seguito all’altra.

Per concludere, mi ha un po’ rincuorato scoprire che la dimostrazione del fatto che teina e caffeina fossero la stessa molecola è avvenuta solo verso la fine del 1800, grazie agli studi che condussero alla definizione chiara della sua struttura, nonché alla sintesi vera e propria di questa sostanza. Studi che fecero parte dell’assegnazione del premio Nobel per la chimica nel 1902 a Hermann Emil Fischer, un personaggio che chi, come me, ha a che fare con la chimica tutti i giorni, sente nominare piuttosto spesso.

 

Reazione degli scaldamani: il “ghiaccio caldo”

scaldamani coloratiOrmai in quasi ogni supermercato, specialmente nel periodo invernale e nei reparti “tutto a 1€”, si trovano degli oggetti di varie forme e dimensioni simili a bustine con del liquido all’interno, chiamati scaldamani.
Affinché questi oggetti espletino la propria funzione occorre schiacciare un disco metallico presente al loro interno e subito si dà il via ad un meccanismo a catena che porta al solidificarsi della soluzione liquida contenuta e contemporaneamente a sprigionare calore (ecco spiegato il motivo del nome).
L’utilità di questi scaldamani risiede nel fatto che possono essere riutilizzati all’infinito semplicemente immergendoli in acqua bollente dopo l’utilizzo: così facendo il composto all’interno tornerà ad essere liquido.

Ma qual è il meccanismo chimico che sta dietro alla formazione del cosiddetto “ghiaccio caldo” o “hot ice”?

Per prima cosa va precisato che il termine “ghiaccio” è utilizzato impropriamente, anche se ormai di uso comune, poiché si tratta di soluzioni acquose di acetato di sodio, che niente hanno a che vedere con il ghiaccio propriamente detto, ovvero l’acqua allo stato solido.
Questo composto, dal nome apparentemente complesso, fa parte della nostra vita quotidiana in quanto trova utilizzo come conservante all’interno dei cibi: in questo caso prende il nome di diacetato di sodio e viene indicato con la sigla E262.

Dal punto di vista chimico è il sale sodico dell’acido acetico (acido debole) ed in quanto tale, in acqua, è soggetto a idrolisi basica, ovvero le soluzioni di acetato di sodio presentano una leggera basicità. A temperatura ambiente è un solido cristallino dal colore bianco.
L’acetato di sodio (CH3COONa) può essere prodotto per reazione tra acido acetico e bicarbonato di sodio di seguito schematizzata:

CH3COOH + NaHCO3 –> CH3COONa + H2O + CO2

Questa è la tipica reazione tra l’aceto e il bicarbonato di sodio che chiunque abbia giocato al piccolo chimico avrà sicuramente ripetuto in casa, rimanendo sorpreso dalla quantità di schiuma che si formava. Adesso possiamo capirne il motivo: durante la reazione tra i due composti si ha una vigorosa formazione di anidride carbonica (CO2) che, essendo gassosa, risale dalla soluzione provocando l’effervescenza caratteristica.
Quello che però non sapevamo, o almeno di sicuro non sapevo io quando ci giocavo, è che alla fine dell’effervescenza avevamo ottenuto una soluzione di acetato di sodio, il protagonista degli scaldamani.scaldamani gufo
Il liquido che si trova al loro interno, però, è sì una soluzione di acetato di sodio in acqua, ma particolare: viene definita infatti soluzione supersatura o sovrasatura, vale a dire una soluzione in cui è presente più soluto di quello che in realtà la quantità di acqua presente sarebbe in grado di sciogliere. Questo tipo di soluzioni sono particolarmente instabili ed il soluto in eccesso tende a precipitare o, nel caso dell’acetato di sodio, a dare origine ad un processo di cristallizzazione dell’intero contenuto.
Questo processo è esotermico, in altre parole libera energia sotto forma di calore: infatti schiacciando il disco metallico all’interno dello scaldamani si origina ciò che viene definito centro di nucleazione, che permette la cristallizzazione a cascata dell’intera soluzione, con liberazione di energia.
La particolarità di questo tipo di cristalli così formati (per i più esperti vale la pena dire che sono cristalli triidrati e contengono al loro interno le molecole di acqua facenti da solvente) è che intorno ai 100°C si possono sciogliere nuovamente a dare origine alla soluzione sovrasatura di acetato di sodio in acqua, che potrà così essere utilizzata di nuovo quale coadiuvante nel superare i rigidi inverni. 😉

scaldamani

Di seguito posto un video che ho fatto ormai già da un po’ di tempo (e che potete trovare anche sulla pagina Facebook di Chimichiamo Blog), che riguarda appunto la cristallizzazione di una soluzione supersatura di acetato di sodio che avevo sintetizzato a partire da acido acetico puro e bicarbonato di sodio. In questo caso il processo di cristallizzazione viene avviato dall’aggiunta di un piccolo cristallo preformato di acetato di sodio che funge da germe cristallino.


Adesso quando utilizzerete uno scaldamani saprete qual è il processo chimico che sta dietro a questa sorta di magia… a portata di mano!

 

Esperimento: candeggina e tintura di iodio

Salve a tutti, purtroppo tentare di portare avanti un blog mentre si cerca di arrivare alla laurea non è così semplice come credevo.
Ma eccomi qua a scrivere di nuovo su qualcosa che spero possa risultare interessante a chi mi segue.

Qualche mese fa una ragazza che segue la pagina Facebook di Chimichiamo Blog mi ha inviato un video di un esperimento trovato su internet e mi chiedeva se sapessi che sostanze venissero utilizzate.
Il video in oggetto lo trovate su You Tube al seguente link. Di seguito invece ne inserisco un altro che si vede meglio:

Nel video il riferimento è puramente di tipo religioso e io voglio prescindere da questo aspetto poiché il mio scopo è solo quello di illustrare come avviene la reazione in oggetto (perché di questo si tratta: una semplice reazione chimica) e fare in modo che possiate provare a rifarla in casa per puro divertimento o effetto scenico, se così vogliamo chiamarlo.

Di video come quello che ho linkato ne esistono tantissimi, e da una breve ricerca ho trovato gli ingredienti adatti:
– Acqua,
– Tintura di iodio,
– Candeggina.

Facendo riferimento al video, più precisamente abbiamo acqua nel bicchiere con la scritta “YOU”, candeggina nel bicchiere con la scritta “CHRIST” e infine tintura di iodio nel bicchiere con scritto “SIN”.

ysc

La tintura di iodio viene utilizzata come disinfettante e si trova facilmente in farmacia o nei supermercati. La candeggina, allo stesso modo, è facilmente reperibile in qualsiasi supermercato nel reparto dei prodotti per la pulizia.

tintura di iodio

Versando la tintura di iodio all’interno del bicchiere con l’acqua si ottiene la semplice colorazione di quest’ultima, con la formazione di una soluzione di iodio più diluita, ma pur sempre colorata.

 

Lo iodio elementare, I2, non è molto solubile in acqua e tende a sublimare (a passare cioè dallo stato solido direttamente a quello gassoso) e per facilitarne la solubilità viene utilizzato ioduro di potassio, KI, che è estremamente solubile e dà origine a ioni K+ e I.
La tintura di iodio è infatti una soluzione di iodio (I2) e ioduro di potassio (KI) in acqua ed etanolo. L’equilibrio che comporta la solubilizzazione dello iodio è il seguente:

I2 + I –> I3

Dove I2 è lo iodio elementare e I è lo ione ioduro derivante da KI. Il prodotto di questa reazione prende il nome di ione triioduro ed è questo a dare alla soluzione la tipica colorazione bruna.
Lo ione triioduro, a livello di reattività chimica, è comunque paragonabile a I2 e quindi viene considerato la forma idrosolubile dello iodio elementare.

Quindi la tintura di iodio aggiunta all’acqua la colora semplicemente.
Ma cosa accade quando si portano a contatto la tintura di iodio e la candeggina?

Come ho già spiegato in un precedente articolo in cui parlavo della candeggina (NaOCl, ipoclorito di sodio), questa è una soluzione basica, dovuta all’idrolisi prodotta dalla base coniugata dell’acido debole HClO (acido ipocloroso).

ClO + H2O –> HClO + OH

In ambiente basico (presenza di ioni OH) accade che lo iodio presente come I2 viene convertito in acido ipoiodoso (HIO) e quest’ultimo, essendo instabile, si converte a sua volta in iodato (IO3). Ecco una schema delle reazioni:

I2 + OH –> HIO + I
3HIO + 3OH –> IO3 + 2I + 3H2O

I prodotti di queste reazioni sono incolori e quindi fanno sì che mettendo a contatto la candeggina con la tintura di iodio la soluzione diventi trasparente.

tintura di iodio e candegginaEcco spiegato come il liquido contenuto all’interno del bicchiere con la scritta CHRIST non si colori all’aggiunta della tintura di iodio.

A questo punto avete capito il trucco: versate della candeggina dove c’è la tintura di iodio e questa perderà la sua colorazione.

 

Adesso potete divertirvi a riproporre questo esperimento come meglio credete, a sfondo religioso o meno, purché vi divertiate!

I rischi domestici: mescolare la candeggina con altri prodotti

Eccoci di nuovo a parlare insieme di chimica quotidiana dopo la pausa a causa dello studio! Oggi ci soffermiamo su quelli che possono essere alcuni dei rischi che corriamo nelle nostre case quando si ha a che fare con i prodotti per la pulizia; in particolar modo parleremo della candeggina e dei suoi effetti se mescolata con le sostanze sbagliate.candeggina

È d’obbligo in questa sede ricordare che occorre prestare solo un po’ di attenzione in più e fare le cose con la dovuta accuratezza: quando acquistiamo un qualunque prodotto per la pulizia dobbiamo sempre leggere le indicazioni ed imparare a conoscere i simboli di rischio sopra riportati (ma di questo parleremo meglio in un altro articolo).

Torniamo sulla ben nota candeggina, prodotto che viene utilizzato in tutte le case e per svariati scopi: dalla sua capacità sbiancante, al suo effetto disinfettante, per la pulizia e l’igiene dei pavimenti o per lavare biancheria in generale. Il prodotto che tutti noi utilizziamo è una soluzione non troppo concentrata (solitamente meno del 5%) di ipoclorito di sodio (NaClO), il sale sodico derivato dall’acido ipocloroso (HClO), in aggiunta con tensioattivi e profumi vari. È un composto piuttosto basico (vedi articolo sui test del pH) e ciò è dovuto al fatto che in acqua si dissocia in ioni Na+ e ClO, quest’ultimo (tecnicamente definito come base coniugata dell’acido debole HClO) instaura in acqua un equilibrio che porta ad un aumento di ioni OH in soluzione, rendendola basica:

ClO + H2O –> HClO + OH

La candeggina presenta dei rischi già così com’è: è leggermente corrosiva e irritante e quindi deve essere sempre maneggiata con le dovute precauzioni (come ad esempio i guanti).
In chimica, quando si parla di rischi legati ad un composto, un aspetto importante da tenere sempre presente è la sua concentrazione in soluzione; l’ipoclorito di sodio è anche alla base di un altro prodotto che conosciamo tutti benissimo: l’Amuchina. In questo caso la sua concentrazione è molto ridotta rispetto a quella che ha nella candeggina, questo per far sì che esplichi la sua funzione disinfettante senza però arrecare altri tipi di danni.
Mi sono però prefisso di scrivere in questo articolo quali sono i rischi correlati all’incompatibilità della candeggina con altre sostanze.
Esaminiamoli alcuni.acqua ossigenata, alcool e candeggina

Candeggina + Ammoniaca: sì o no? 
NO.
Non è buona norma mescolare candeggina e ammoniaca poiché l’ipoclorito tende a reagire con l’ammoniaca (NH3) formando dei composti irritanti, dall’odore pungente, chiamati clorammine (la monoclorammina ha formula NH2Cl). In questo caso non si ha sviluppo di gas tossici ma bisogna comunque stare attenti che questi prodotti non vengano in contatto in ambito casalingo.

Candeggina + Acqua Ossigenata: sì o no?
Sì.
Non ci sono rischi nel mescolare la candeggina con l’acqua ossigenata (H2O2), anzi, la reazione tra i due composti libera ossigeno gassoso ed è quindi anche carina da osservare grazie all’effervescenza che produce. (Presto pubblicherò un simpatico esperimento a riguardo.) Ecco la reazione schematizzata:

NaClO + H2O2 –> NaCl + H2O + O2

Candeggina + Acido Muriatico: sì o no?acido muriatico
Assolutamente NO.
La cosa più pericolosa che si può fare è mescolare l’acido cloridrico (noto anche come acido muriatico) con la candeggina. Uno dei prodotti della reazione che avviene tra i due composti è cloro gassoso (Cl2), estremamente tossico se inalato. Ad elevate concentrazioni può portare addirittura alla morte.

NaOCl + 2HCl –> NaCl + Cl2 + H2O

Quindi MAI mescolare candeggina e acido muriatico, nonostante siano entrambi prodotti utilizzati per la pulizia.

Candeggina + Alcool Etilico: sì o no?
No.
I prodotti che possono venire fuori dalla reazione tra alcool etilico (o etanolo, C2H5OH) e candeggina sono di svariata natura e dipendono molto dalle condizioni in cui avviene la reazione e dalle proporzioni dei due reagenti. Principalmente l’ipoclorito ha un’azione ossidante nei confronti dell’alcool che viene convertito nella corrispondente aldeide (acetaldeide) e questa a sua volta viene ossidata ad acido acetico che, in soluzione, è presente come acetato di sodio (che non presenta particolari rischi, viene utilizzato anche come conservante). Altri prodotti della reazione possono essere quelli che fanno parte della famiglia dei composti organici clorurati, che invece hanno quasi sempre effetti negativi sulla salute; uno di questi prodotti potrebbe anche essere il cloroformio (CHCl3). Non si può però prevedere con assoluta certezza quali di questi prodotti possano formarsi e soprattutto non si possono conoscere le percentuali relative di ognuno. Proprio per questi motivi si sconsiglia di mescolare candeggina ed alcool etilico.

Ovviamente questa è solo una piccola rassegna assolutamente non esaustiva di quelle che possono essere tutte le reazioni che possono avvenire con la candeggina. Ho cercato di mettere quelle che più si avvicinano alla quotidianità, considerando prodotti che possiamo trovare nella maggior parte delle case. Inoltre non mi sono soffermato molto sui vari tipi di reazione dal punto di vista prettamente chimico: questo perché l’articolo vuole essere quanto più chiaro possibile anche a chi di chimica non sa molto. Se per caso aveste bisogno di ulteriori informazioni o delucidazioni a riguardo potete contattarmi all’indirizzo [email protected]

Piccola curiosità sui bicchieri di plastica!

Volete sorprendere i vostri amici e conoscenti con un semplice trucchetto sui bicchieri di plastica? Allora leggete qua!

bicchieri di plasticaFatevi dare un bicchiere di plastica che voi non avete mai visto.
Prendetelo in mano senza guardare il fondo e schiacciate i bordi fino a farli toccare: se si rompe potrete affermare con sicurezza che sul fondo ci sarà scritto PS oppure il numero 6, in caso contrario troverete la scritta PP o il numero 5.

 

ps-pp
PS e PP sono le abbreviazioni di Polistirene (detto anche Polistirolo) e Polipropilene, due polimeri largamente utilizzati industrialmente che nonostante possano sembrare simili, presentano proprietà totalmente diverse! Il polistirene è un polimero dalle caratteristiche simili al vetro e risulta infatti più fragile (il bicchierino si rompe); il polipropilene invece può essere deformato senza presentare fratture poiché presenta un comportamento più “elastico”.

Fatemi sapere se il trucco ha funzionato!